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Franco Licata D'Andrea

Calcio

“Quelli della B”, il presidentissimo Franco Licata D’Andrea, “L’uomo capace di regalare un sogno”

In campo vanno i giocatori e senza quelli bravi, non si vince. E per bravi non si intende conosciuti o costosi, magari diventeranno anche tali ma bravi, per l’appunto, devono esserlo. Su questo non ci sono dubbi, gli allenatori non vanno in campo, seppur importanti e non poco. Ma si parte per gradi, costruendo il gruppo: in testa non si prescinde da una società solida, con basi ancorate in principi sani di sport e crescita collettiva. Con l’aspetto economico intrecciato con idee lungimiranti.

Del Licata calcio storicamente promosso in serie B, i vertici societari costituirono, in quegli anni, un porto sicuro, dove sai di poter attraccare anche quando il vento non appare favorevole, perché le certezze sono alla base, saperle trasmettere non è da tutti. Immagine, simbolo, sintesi di dirigente e appassionato, di quella squadra iconica, è stato Franco Licata D’Andrea, per tutti, semplicemente il presidente. L’uomo capace di regalare un sogno.

Carismatico e grandemente appassionato. Amava lo sport nella sua interezza, non solo il calcio di cui, vestito con eleganza del giallo e del blu, figurano tra le sue attitudini sportive anche i motori ed il ciclismo. Non amava guardarlo e basta lo sport, a pallone Franco Licata D’Andrea ha pure giocato. Un gruppo è tale se amalgamato dal carisma del leader che trovi sempre. Che non manca mai. Che trasmette serenità. Che diffonde ambizione e voglia di arrivare in alto perseguendo obiettivi di pregio cercando di raggiungerli con disciplina, rigore, lavoro e certamente valorizzazione del talento. Il presidente era questo e non solo.

A tracciarne un ritratto è il figlio, Massimo. Conosciuto e stimato in città, ai tempi ventenne accanto al padre artefice e protagonista di una di quelle favole che piace non solo ai piccoli. Emoziona pure i grandi, leggerla ed entrarci all’interno ti porta ad assaporare il gusto della sfida vinta, della consapevolezza che ciò che appare profondamente irraggiungibile possa mutare in realtà con applicazione e sogno, col crederci e non abbandonare mai l’idea di primeggiare.

“Papà era principalmente un appassionato di tanti sport, oltre al calcio dei motori e di ciclismo. Era amante dei valori dello sport, del rigore che porta ai risultati, della costanza per ottenerli, della disciplina e la cultura del lavoro. Aveva un carattere gioviale, sapeva fare gruppo avendo una capacità di mediazione importante, tutte caratteristiche che riuscì a portare nel calcio. Furono anni meravigliosi, l’aspetto importante su cui si basò il successo a mio avviso è stato il metodo e la capacità di costruire un valore, prima umano e poi sportivo ed economico”.

Franco Licata D’Andrea, tra i primissimi a credere in Zeman, fino a difenderne l’operato quando, agli inizi rischiò l’esonero.

“Ricordo che Zeman agli inizi non fece benissimo, portando metodi di lavoro nuovi ed un calcio diverso, fatto di pressing, zona, gioco corto e portiere spesso fuori dai pali, serviva tempo per assimilare tutto, i risultati non arrivavano nella fase iniziale e si parlava anche di sostituire l’allenatore o comunque di affiancarlo ad un altro tecnico, mossa che poteva indurre Zeman a dimettersi. Mio padre in quel frangente non era il presidente ma comunque era dirigente, credeva fortemente in Zeman al quale disse nel caso di non dimettersi e andare avanti, avrebbe avuto il suo appoggio totale, una volta divenuto presidente della società, è così effettivamente fu, papà amava quel gioco moderno per l’epoca, intuì che si poteva iniziare un percorso virtuoso”.

L’arte del visionario apparteneva anche al presidente, del resto serve vedere oltre per creare, non solo nel calcio. Membro del direttivo di B, fu scelto dai colleghi presidenti per la capacità assodata di gestire una squadra di calcio e portarla in alto partendo dal basso.

“Fiero di questo incarico, anche simpaticamente diceva di aver ricevuto l’incarico di ministro del calcio, tale era l’orgoglio di rappresentare Licata nella gestione del calcio, un grande traguardo”.

Il calcio è anche società ed economia, tessuto imprenditoriale e crescita, spesso fulcro di passione che aggrega e mette in circolo sviluppo del territorio e radicale espansione dello stesso con infrastrutture, servizi e attività similari, collegate ad un indotto che, in quegli anni mediamente, fu capace di muovere in città capitali attorno ai due miliardi di vecchie lire, cifra considerevole per l’epoca.

“Contattato un professionista esperto di bilancio e conti, ci disse analizzando l’aspetto economico e di riflesso della squadra di calcio che, attorno alla stessa, si riusciva a mettere in circolo qualcosa come due miliardi di lire dell’epoca tra ristoranti, strutture ricettive e tanti servizi e attività che una squadra professionistica in serie B era capace di generare. Certamente furono anni anche di sviluppo sociale, economico e produttivo per la città di Licata, nel complesso”.

Franco Licata D’andrea raggiunse una notevole popolarità, conosciuto praticamente ovunque, rimanendo però umile ed ancorato ai suoi valori, “era un timido mio padre con i piedi per terra con modestia, gli anni del suo essere popolare non riuscirono ad influenzarlo da questo punto di vista”.

Amava Damiani ma, per Massimo Licata D’andrea, il migliore di tutti fu Maurizio Schillaci.

“Giocatore straordinario, funambolo di una tecnica enorme, mi ricordo che mio padre chiese a Zeman di questo ragazzo, l’allenatore rispose dicendogli, presidente questo le farà vedere le partite in piedi. E aveva ragione, Maurizio davvero fortissimo”.

Ma c’è un giocatore tra  i preferiti del giovane Massimo, figlio del presidente: Angelo Consagra, rappresenta la cartolina della licatesità calcistica da spedire.

“Angelo era unico, esempio di bravura, costanza, determinazione, professionalità, dico il suo nome si”. Ed è il nome di tutti ad aver fatto grande il Licata, con in testa lo storico presidente della promozione in serie B.

Vincenzo Montana

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