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Inchiesta su presunti appalti truccati, Massimo Ingiaimo: “La storia non ha insegnato nulla”
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Scritto da
Redazione
Massimo Ingiamo, licatese, esponente del PD, interviene sulla maxi inchiesta della Procura della Repubblica di Agrigento su presunti appalti truccati.

Ecco il comunicato stampa integrale:
“A leggere gli articoli sui giornali che riguardano l’inchiesta della magistratura agrigentina, che la stampa ha definito “Appalti e mazzette”, colpisce la commistione fra politici, imprenditori e Dirigenti pubblici che utilizzano soldi destinati a migliorare servizi primari per i cittadini, per arricchirsi o per ricavarne consenso, come se “Mani pulite” non ci fosse mai stata o come se questa nostra terrà fosse zona franca per la legalità.
I magistrati, infatti, contestano ai principali indiziati di avere “organizzato e comunque costituito e gli altri fatto parte di una associazione per delinquere finalizzata al reperimento ed alla distrazione a fini privati di risorse pubbliche provenienti dalla Regione Siciliana e da altre fonti di finanziamento mediante la commissione di più delitti contro la pubblica amministrazione quali la turbativa d’asta, il peculato, la corruzione, la concussione, attraverso meccanismi spartitori dei pubblici appalti per la realizzazione di opere pubbliche e di servizi, fondati sulla proprietà di imprese compiacenti, e su una capillare opera di corruzione e di condizionamento dei progettisti, pubblici funzionari, dirigenti di enti locali, assessorati regionali cd organismi d’ambito territoriale”.
La giustizia farà il suo corso, ci auguriamo celermente, e ribadiamo il principio di non colpevolezza fino a condanna definitiva per ogni imputato e, a maggior ragione, per gli indagati, ma questo non ci esime da alcune considerazioni politiche e sociali.
Era il 1963 quando Francesco Rosi nel film inchiesta “Le mani sulla città” faceva dire al suo protagonista, il costruttore e consigliere comunale Eduardo Nottola “Il denaro non è un’automobile, che la tieni ferma in un garage: è come un cavallo, deve mangiare tutti i giorni”.
Voleva dire che per aumentare il danaro occorre costruire e speculare sui terreni. Costruire a prescindere dell’interesse dei cittadini, ammantando con la retorica di volere migliorare le condizioni di vita delle persone povere ma in realtà pensando solo ad arricchirsi.
E’ questo un aspetto insopportabile! In una terra assetata e priva di infrastrutture, lucrare sulle opere pubbliche, non operare nell’interesse pubblico equivale a condannare all’arretratezza, al degrado economico e sociale questa terrà, eliminando ogni speranza a chi qui è rimasto e vive tra mille difficoltà.
Un tradimento imperdonabile, al di là della rilevanza penale, che compromette il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Sembra che da quel 1963 non sia cambiato nulla e che la collusione tra potere politico ed interesse privato sia immutata, appuntandosi su una classe politica moralmente impresentabile, disposta ad ogni intrallazzo e compromesso pur di conservare il potere ed arricchirsi.
Ma davvero questa è una terra irredimibile? Parrebbe di no se, come scrivono i giornali, il tutto è partito dalla denuncia di un imprenditore licatese che disperato e sull’orlo del fallimento per mancanza di commesse ha denunciato l’esistenza di un vero e proprio cartello che gli impediva di lavorare.
Insomma una reazione c’è stata e va sostenuta ed incoraggiata sul piano istituzionale, politico e sociale perché non cada nel vuoto e non subisca addirittura un disvalore sociale anziché un valore.
Sono 46 le persone indagate e tra questi l’ex assessore regionale all’energia acqua e rifiuti; un ex dirigente del comune di Licata; il sindaco di Licata ed alcuni consiglieri comunali, oltre a diversi imprenditori.
E’ chiaro che chi riveste ruoli pubblici di rappresentanza ha il dovere di chiarire la propria posizione, a prescindere dai provvedimenti giudiziari, per il rapporto di fiducia nei confronti dei cittadini che lo hanno votato ed anche per quelli che non lo hanno votato e che pure rappresenta.
Nei titoli di coda del film “Le mani sulla Città” c’è scritto: “I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce”.
Si, perché l’arretratezza, la miseria economica e morale finisce quasi per giustificare i fatti di corruttela e si può finire per votare chi questi fatti li favorisce e non li combatte.
Ma la domanda che più di tutti inquieta è: com’è possibile che dopo “Mani pulite” e le tante inchieste per mafia che hanno finito per decimare i vertici di quella organizzazione, si possa delinquere con questo senso d’impunità e senza alcuna reazione sociale e politica?
Un po’ è naturale che dopo le stagioni di grande indignazione ci siano lunghi periodi di indifferenza.
Contano alcuni errori, alcuni scandali e alcune condanne mancate che hanno depotenziato la lotta alla corruttela e alle mafie, ma nella società nulla è immutabile e i cambiamenti radicali e profondi passano per la presa di coscienza che, di solito, avviene quando il senso di ingiustizia è più alto, insopportabile.
E’ allora che le cose cambiano. Ecco perché la politica sana non può e non deve mollare e giorno per giorno deve testimoniare che un altro modo di fare politica nell’interesse della povera gente è possibile, a patto di tenere alta l’asticella del compromesso morale.
Per questo è necessario che l’opposizione svolga la sua funzione di controllo, vigilando negli Enti Locali e negli organismi regionali affinché il danaro pubblico sia speso bene e secondo legge.
Svolgere il ruolo di opposizione non è una disgrazia ma è rilevante per la tenuta della democrazia e può essere rigenerante per costruire l’alternativa se svolto con rigore, coerenza e intelligenza.
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