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Considerazioni al tempo del Coronavirus, Enzo Montana: “E se ripartissimo dalla Sicilia?”

di Vincenzo Montana

Non ho tempo, sono di corsa, facciamo un’altra volta. Nel quotidiano, nel turbinio di tutti giorni, sono (erano) frasi fatte e ricorrenti. Oggi, di tempo ne avanza pure. Tra tanti panettieri, pasticceri e chef stellati riscoperti in ognuno di noi, si attraversa “la guerra virale” capace di fermare multinazionali, manager in carriera ed avvenenti direttori, presunti tali o sognatori della maratona americana. A casa, sogna da casa.

Il Coronavirus, a fine febbraio, sbarca in Italia, calzando uno stivale che diventa sempre più stretto nel suo incidere: non eravamo pronti, ma non si è mai pronti al peggio, in fondo siamo animali sociali, diceva “qualcuno”, amiamo l’indipendenza ma ci riscopriamo bisognosi dell’altro visceralmente. Inseguiamo intrecci di chissà quale variegata risoluzione ma, necessitiamo di semplicità. Essere normali, da adesso avrà un peso maggiore quasi quanto la maledizione di averlo dimenticato.

 

Prima, c’era un prima, ci sarà un dopo virus. Dal paziente zero di Codogno ad aprile inoltrato, l’Italia piange vittime, si guarda allo specchio e si vede ferita, come Paese e come sistema. Era un’influenza per molti, un acciacco di stagione, se acuto può far più morti, si diceva. Agli albori, tutto era sotto controllo, tutto era ridotto, semplice, senza problemi, una Tachipirina, uno sciroppino, il miele della nonna e via, di corsa in ufficio, mutui ed affitti vanno pagati ed un mese vola.

 

Cosa sia andato storto, e qualcosa storto deve essere andato, sarà analizzato tra mesi, forse anni. Di verità assolute non si cerchi nemmeno l’ombra ma, non predomini nemmeno la menzogna in cambio della mercificazione e del business. Il vaccino arriverà, col tempo e con la pazienza e la scienza. L’Italia ha il migliore Sistema Sanitario al mondo, con medici e personale eccellenti.

 

Gli stessi medici e scienziati “tagliati” da una politica becera e ottusa, una politica che adesso non dovrebbe ringraziare la categoria, dovrebbe scusarsi per aver tagliato e non costruito negli ultimi dieci anni. Adesso i medici potrebbero andare dall’aula universitaria alla sala operatoria, ieri invece servivano duecento anni, tremila carte, ottocento tirocini e l’imbarazzante e sorpassata trafila burocratica che hanno fatto dell’Italia un Paese non pronto, poco all’avanguardia e non al centro di meccanismi di sviluppo reale, al netto di discorsi di facciata e gestione amministrativa da copia e incolla. Il semplificato produce e produce meglio. Gli altri non sono per forza i più belli e bravi, in verità il Bel Paese si scopre bello nei suoi abitanti, in tutta quella gente che lotta e lotterà perché la qualità dei prodotti italiani non ha eguali.

 

Mangiamo bene, produciamo bene, ci vestiamo bene, abbiamo menti finemente da conservare e garbo imprenditoriale in settori dall’indubbia supremazia qualitativa. Ci riprenderemo. Lo Stato faccia lo Stato. E’ il momento di dare e non di pretendere, siamo il Paese dove il lavoro si trova difficilmente e costa troppo. Scarto tra lordo e netto in busta paga, assai elevato. Siamo anche il Paese da troppe imposte, e servizi difficili. Troppo, bisogna semplificare.

 

L’arte di rendere facile quello che appare non esserlo, intervenga ed illumini la classe politica. Si sono persi e si perderanno posti di lavoro, chiuderanno piccole aziende e bar che vivevano alla giornata, inutile essere buonisti ed illusi. Il realismo può portare a maggiori soluzioni.

 

Il nord bello e ricco è stato colpito. Il sud, per troppo tempo non di certo raggiante in termini economici come una soubrette appena uscita da una farm, deve ritrovarsi. Può essere un’occasione. La Sicilia è la regione che gestisce il Covid-19 con termini di positività importanti: emergenza “presa in tempo” e se fosse proprio l’isola del sole un punto per ripartire, se nascesse davvero tutto dal basso, per una volta? Stagione balneare e ripartenza incombono. Viene chiamata fase 2, sarà quella del “graduale ritorno alla normalità”, più graduale che normale.

 

Nulla sarà come prima (forse) ma non significa che non possa essere raggiante. Si aiutino le imprese, la provincia di Agrigento, per dire, è fanalino di coda alla voce “ricchezza, lavoro e giovani occupati” (i giovani che restano, emigrazione a parte. Ovvio). Straordinaria è l’emergenza, straordinarie siano le misure. Mutui, affitti, rette di asili nido e faccende familiari siano nelle agende di quelli belli e vestiti bene, i fatti contano. E conteranno solo quelli. L’economia italiana cambia e cambierà ma l’interruttore per riaccendere si troverà, sarà una luce differente ma non saremo al buio, si spera.

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